La terapia metacognitiva nel trattamento della sofferenza emotiva degli adulti sopravvissuti al cancro

Molti adulti sopravvissuti all’esperienza del cancro presentano uno stato di sofferenza emotiva persistente successiva al completamento della cura della malattia. Lo stato di stress emotivo prolungato diventa infatti una condizione molto comune nelle persone coinvolte. Si possono manifestare ansia e depressione che danneggiano inevitabilmente la qualità della vita e spesso si teme il ritorno della malattia nella stessa parte o in altre parti del corpo (FRC Fear of cancer recurrence). L’obiettivo di questo studio è quello di testare il potenziale dell’intervento psicologico trans-diagnostico proprio della terapia metacognitiva nel ridurre la sofferenza emotiva nei sopravvissuti al cancro.

Lo sviluppo degli interventi psicologici per i pazienti malati di cancro ha sempre avuto la tendenza a seguire un approccio che si focalizza specificamente sul disturbo, su un problema clinico per volta, in modo sequenziale, non tenendo conto della comorbilità delle conseguenze psicologiche che questi soggetti si trovano ad affrontare.

L’approccio metacognitivo al contrario è trans-diagnostico, risulta essere quindi più proficuo sia in termini di costi che di risultati. Tale approccio ha portato allo sviluppo di concettualizzazioni e protocolli di trattamento per diversi disturbi. I professionisti infatti sviluppano competenze applicabili ai pazienti senza tenere conto dei loro sintomi specifici, ma valutando la comorbilità dei sintomi. ll modello Self-Regulatory Executive Function (S-REF) è un modello trans-diagnostico. Esso sostiene che la psicopatologia si mantiene a causa di stili di coping mal adattivi, i quali vengono attivati e mantenuti a seguito di credenze metacognitive. Il modello S-REF si struttura secondo tre livelli interdipendenti che vanno a caratterizzare la sindrome cognitivo-attentiva (CAS). La CAS consiste in un insieme di diverse forme di pensiero ripetitivo e perseverante, tra cui il rimuginio, la ruminazione, l’attenzione selettiva su stimoli minacciosi e strategie di coping disfunzionali, nonché da comportamenti autoregolatori mal adattivi (ad esempio evitamento e soppressione dei pensieri). I sopravvissuti al cancro sperimentano molti di questi pensieri negativi (Pensieri sul ritorno della malattia, memorie o immagini intrusive sui trattamenti ricevuti, senso di perdita). Si tratta di pensieri perseveranti che diventano incontrollabili e vanno inevitabilmente ad alimentare l’ansia e lo stato di sofferenza delle persone coinvolte. In generale, il modello S-REF enfatizza l’importanza dei processi che generano, monitorano e mantengono gli stati mentali intrusivi, piuttosto che focalizzarsi sul contenuto degli stessi.

L’approccio metacognitivo si pone l’obiettivo di ridurre la sofferenza emotiva del paziente e si avvale dell’utilizzo di misurazioni alla baseline con tre o sei settimane di follow-up. Ansia, depressione, rimuginio e ruminazione, FRC e credenze metacognitive vengono stimate attraverso l’utilizzo di test auto-somministrati. Nonostante siano necessari altri controlli e studi su più ampia scala per testare l’efficacia di questo modello, esso dimostra di avere un alto potenziale proprio per il suo approccio trans-diagnostico e di essere efficace nella riduzione della sofferenza emotiva nei pazienti che hanno vissuto l’esperienza del cancro, dopo solo sei sessioni di terapia.

 

Articolo estratto e tradotto da “Metacognitive Therapy for Emotional Distress in Adult Cancer Survivors: A Case Series” Peter L. Fisher, Angela Byrne, Peter Salamon

Modello metacognitivo e modello standard CBT (TCC) del disturbo d’ansia sociale a confronto: è tempo di andare oltre la cognizione?

La terapia cognitivo comportamentale individuale è il trattamento consigliato per affrontare il disturbo di fobia sociale. Essa mette in luce come le modalità tipiche di pensare di ognuno di noi (schemi) costituiscano il fulcro da cui nascono i nostri processi disfunzionali e gli stessi sintomi di ansia sociale. Nonostante ciò, recentemente questo approccio è stato messo in discussione dal modello metacognitivo. Il modello metacognitivo mette in evidenza come gli specifici ed individuali modi di pensare (credenze metacognitive) siano coinvolti nella maggior parte dei disturbi, compresa l’ansia sociale. Mettere a confronto sistemi di credenze così eterogenei accresce la possibilità di avanzare nel processo di concettualizzazione e trattamento del disturbo di ansia sociale. Il modello cognitivo evidenzia come i processi auto-regolatori mal adattivi (attenzione verso sé stessi e comportamenti di sicurezza) si manifestino e si correlino alle credenze cognitive (schemi). Al contrario, l’approccio metacognitivo sostiene come questi processi derivino dalle credenze metacognitive e quindi mira ad aiutare i pazienti a sviluppare nuovi modi di reagire ai pensieri negativi sviluppando competenze, al fine di controllare l’attenzione e di modificare le regole metacognitive controproducenti.

I due principali modelli cognitivi di trattamento della fobia sociale e del disturbo di ansia sociale raccomandati dal National Institute for Health and Clinical Excellence sono quello di Clark e Wells e quello di Rapee e Heimberg.

Clark e Wells assegnano un ruolo agli schemi o credenze cognitive, ma fanno anche ricorso al modello metacognitivo descrivendo come i processi cognitivi di auto-regolazione (l’attenzione verso sé stessi) contribuiscano a mantenere l’ansia sociale. Le credenze cognitive negative (ad esempio “sono noioso”) vengono attivate quando la persona con fobia sociale entra a contatto con situazioni sociali. Questo le porta a rivolgere l’attenzione su sé stessi creando un’immagine interna distorta e negativa del sé. Inoltre l’ansia preventiva e la ruminazione successiva all’evento sociale da affrontare contribuiscono al mantenimento del problema.

Il modello cognitivo-comportamentale di Rapee e Heimberg, in aggiunta a quello di Clark e Wells, sostiene che la fobia sociale individuale sia caratterizzata da processi auto-regolatori mal adattivi che possono anche essere esteriori, come ad esempio la scansione visiva dell’ambiente circostante alla ricerca di valutazioni e segnali negativi che vadano a enfatizzare e confermare il meccanismo di auto-valutazione negativa di sé stessi.

Ci sono molti studi a supporto del modello cognitivo centrato sugli schemi (credenze cognitive). Il modello metacognitivo, al contrario non si lega direttamente a questi schemi e si dimostra innovativo e più efficace rispetto al modello cognitivo.

A tal proposito il modello metacognitivo di Wells e Matthews specifica come una serie di credenze molto importanti siano state trascurata dalla TCC. Si tratta delle credenze metacognitive, le credenze negative sul pensiero (ad esempio “quando comincio a preoccuparmi non riesco a smettere”, “non posso fare affidamento sulla mia memoria”). Wells e Matthews sostengono che le credenze metacognitive controproducenti siano causa della maggior parte dei disturbi, tra cui l’ansia sociale. Ad esempio, la credenza che l’ansia sia qualcosa di incontrollabile causa una persistente preoccupazione rivolta al sé sociale (“Sono noioso”) che porta la persona a non intervenire usando la propria mente per interrompere tale processo disfunzionale. Nel modello metacognitivo l’accento viene posto quindi sul controllo dell’attenzione e sulla regolazione del pensiero eccessivo. Secondo questo approccio il disturbo psicologico sarebbe il risultato di un modo di pensare chiamato Sindrome Cognitivo-Attentiva o CAS. La CAS consiste solitamente nel rimuginio, nella ruminazione e infine fissazione dell’attenzione su stimoli minacciosi e su strategie di coping disfunzionali. La CAS è quindi controllata da credenze e regole metacognitive, non cognitive.

Nell’ambito del presente studio ci prefiggiamo di confermare l’indiscutibile validità dei due modelli, sia cognitivo che metacognitivo. Essi vengono inseriti all’interno di un set di dati longitudinale che si avvale dello structural equation modelling, basato sulla compilazione di questionari auto-somministrati. Da queste indagini è appunto emersa la validità di entrambi i modelli, ma con un valore aggiunto a favore di quello metacognitivo. Sembrerebbe che i progressi nel capire e nel trattare l’ansia sociale traggano beneficio dal passaggio all’approccio metacognitivo. Questi risultati sfidano un’assunzione di base del modello cognitivo e del trattamento della fobia sociale e offrono ulteriore evidenza del modello metacognitivo.

 

 

Articolo estratto e tradotto da “Plos one , tenth anniversary”, Editor : EiJi Shimizu, Chiba University Graduate School of Medicine ; Japan, Citation: Nordahl , Wells (2017) Testing the metacognitive model against the benchmark CBT model of social anxiety disorder: Is it time to move beyond cognition?